Il racconto della corsa più bella del mondo Brescia

Fotografia di www.ilariapoli.com

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Potrebbe sembrare frutto di un accordo fra Comitato Organizzatore e Padreterno la regolarità con la quale ,il giorno della partenza, spesso piove, quasi a voler rendere più eroico per i piloti e più divertente per il pubblico l’inizio dell’impresa. I detrattori della manifestazione, invece, soprattutto i pendolari automuniti che risentono delle inevitabili conseguenze che l’invasione delle storiche auto della Mille Miglia produce sul traffi co in ogni parte della Città, sono portati a credere che la pioggia sia giusta conseguenza delle loro maledizioni. In ogni caso – e pioggia o no – quando nel tardo pomeriggio del venerdì la corsa inderogabilmente parte dai Giardini Rebuff one di Viale Venezia gran parte della Città si mobilita per assistervi. La Mille Miglia ha il fascino indiscutibile delle belle signore che sono state femme fatale. Di quelle donne che in anni ormai lontani avrebbero potuto far cadere uomini, tremare fortune economiche, causare ribaltamenti politici. Alcune fra di loro, quelle che non hanno accettato che il Tempo le mettesse da parte, sono diventare rancorose, come drammaticamente fu per, esempio, Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione – e cugina di Cavour- le cui notti d’amore con Napoleone III modifi carono il corso della Guerra di Crimea. Le altre, le mature cocotte che hanno saputo adeguarsi al trascorrere degli anni imparando ad indossarne le off ese con lo stesso stile con cui in precedenza hanno portato per il Mondo la bellezza e la seduzione, bé, sono le privilegiate che mantengono del tutto inalterata la loro aura e possono perciò continuare a provocare emozioni della stessa intensità di una volta, anche se di diversa natura, in vecchi e nuovi ammiratori. Così è per “La Corsa più bella del Mondo”, che in realtà è diventata una gara di regolarità e una rievocazione storica e si sviluppa, perciò, con criteri piuttosto lontani da quelli dei suoi inizi. Quando Aymo Maggi, Renzo Castagneto,Giovanni Canestrini e il clarense Franco Mazzotti esattamente novant’anni fa, si inventarono la Mille Miglia, non erano certo ignari dei proclami rivoluzionari che solo pochi anni prima erano stati proposti dal Manifesto Futurista di Marinetti: “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità”, oppure: “Noi aff ermiamo che la magnifi cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.”, o ancora: “Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.” (si noti che automobile era sostantivo maschile e la pratica di guidare indiscutibilmente virile) In un articolo de La Stampa del 27 marzo 1927 troviamo defi nito con precisione l’evento e lo spirito che animava i suoi pionieri: “…Mille Miglia: suggestiva frase che indica oggi il progresso dei mezzi e l’audacia degli uomini. Corsa pazza, estenuante, senza soste, per campagne e città, sui monti e in riva al mare, di giorno e di notte. Nastri stradali che si snodano sotto le rombanti macchine, occhi che non si chiudono nel sonno, volti che non tremano, piloti dai nervi d’acciaio.» Lo Spirito della Corsa, l’ Ardimento dei piloti e l’Ammirazione del Pubblico ci vengono raccontati nell’ Amarcord, di Fellini. A me informazioni analoghe pervengono dai ricordi d’infanzia di Luigi,un amico oggi anziano, che all’epoca abitava a Pontevico. Provenienti da Cremona i bolidi era proprio attraversando gli ampi campi di quel Comune che entravano in territorio bresciano. Luigi mi dice dell’emozione dei bambini di allora – privi dei divertimenti e delle molteplici novità che perseguitano l’infanzia di oggi – che si rincorrevano dietro alle balle di fi eno disposte lungo i tratti più pericolosi, in trepidante attesa che passassero quei mostri splendenti e manovrati da eroi in larga parte dai nomi sconosciuti. C’erano gli adulti a sorvegliarli svogliatamente e più per passare il tempo che altro si impegnavano nella ricerca di notizie frammentarie: erano approssimativi gli orari del passaggio, del tutto sconosciute le classifi che provvisorie, i tempi. Le caratteristiche tecniche dei mezzi potevano talvolta anche essere enunciate da qualche sapientone, ma diffi cilmente venivano comprese appieno dagli astanti. Ma la confusione sollecitava risate, qualche eccesso alcolico, talvolta isolate licenze favorite dall’oscurità. Spesso spuntava una fi sarmonica e partivano le cantate. I nomi dei piloti, salvo alcuni che erano già divenuti leggendari, non erano noti agli adulti, se non a quelli che proprio erano specialisti sfegatati. Ce n’era uno però che era famoso da quelle parti, perché il suo cognome era la parola più usata intorno all’ora di pranzo in tutte le osterie della zona, una delle quali era proprio del papà del mio amico. Si chiamava Campari, ed era della dinastia dei produttori del noto e intramontabile aperitivo tuttora regnante, quel pilota. Il mio amico sostiene – mentendo come un guascone – che proprio nell’osteria del padre, venne inventato il “Campari in due col bianco”. Guidava, il Campari, un’Alfa Romeo e per via della frequentazione quotidiana così insolita con tutti i bevitori locali, godeva del tifo della maggior parte dei pontevichesi a prescindere, anche se non credo che questo abbia mai interferito con le sue prestazioni. Ad alimentare la partigianeria dei bambini c’era anche la fantasia di Luigi che assicurava che una volta “el sior Campari l’è pasat ‘na sera, en incognita, a saludà el me gubà” per ringraziarlo dell’invenzione. Ogni volta che vado a fare un giro, alla punzonatura dei veicoli – che sono ormai veri e propri patrimoni su ruote – dalle parti di Piazza Vittoria, mi accorgo che è sempre più complicato muoversi persino a piedi, come, nemmeno alla fi era d San Faustino. Sono numerose le zone off limits per coloro che non abbiano, appeso al collo, il pass che è anche un po’ uno status symbol. Eppure, è un’intera umanità fatta di belle ragazze vestite bene e signori dal casual azzimato, spesso col cappellino con il logo della corsa in bella vista, famiglie con bimbi al seguito, curiosi , pensionati, gente comune, insomma, quella che si muove agilmente nel baillame costituito ormai anche da sponsor sempre più essenziali per tener su tutto quello spettacolo che nessuno vuole mancare. La passerella di vecchie signore orgogliose e seducenti è ancora in grado di suscitare passioni e di accendere fantasie. Di illuminare nostalgie.

di Roberto Bianchi (http://www.bresciaoggi.it/home/cultura/i-racconti-di-roberto-bianchi)